Come la maggior parte degli spettacoli teatrali, anche il dramma Nou (pronunzia nipponica dell’ideogramma cinese, che nella sua sinica etimologia significa «arte» e passò poi a significare «abilità teatrale» e «arte teatrale») ha origini religiose, derivando da quella forma di spettacolo sacro offerto fin dai secoli più lontani dalle danze pantomimiche.
Narra infatti la leggenda (ne abbiamo riferimenti assai numerosi negli antichissimi documenti, specialmente nel Kojiki e nel Nihongi), che la dea del sole Amaterasu (la quale sembra, tra l’altro, che fosse maestra ai suoi sudditi nell’arte di coltivare il riso e nella tintura dei tessuti), costernata e sdegnata dalle scapestrataggini del fratello Sousano-vo (o Susanou), si rinchiude in una caverna del cielo e abbandonò il mondo delle tenebre. «Così – dice il Kojiki – il vasto altipiano del cielo rimase completamente nell’oscurità e il paese centrale, ove fitti crescono i bambù, fu del pari rabbuiato. Ovunque si estese la notte eterna.»
Gli dei, assai preoccupati, tennero consiglio nel letto disseccato del Fiume del Cielo (la Via Lattea) e pensarono diplomaticamente di attrarre la dea corrucciata fuori dalla sua volontaria prigione con uno spettacolo che ne sollecitasse la curiosità. Un dio fabbricò uno specchio, un’altra divinità delle fasce di canapa, un’altra una pietra preziosa, e si sospesero questi oggetti presso l’entrata della grotta ai rami di un albero.
Ciò fatto, le divinità riuscirono a persuadere un’altra dea, Ame no Uzume (lett.: «La terribile femmina del cielo»), a camuffarsi in maniera bizzarra, ed essa, ornatasi di una cintura di muschio e di ghirlande di foglie, salì su di un tino rovesciato che rendeva un suono vuoto se lo toccava coi piedi, esprimendo in una danza mimica e buffonesca le attitudini e i sentimenti di sorpresa dell’aeropago divini, privato così d’improvviso della chiarità del sole.
Gli altri dei intanto, dato di piglio al tamburo e al flauto, accompagnavano urlando e ridendo la danza di Ame no Uzume. Incuriosita allora, Amaterasu comparve sulla soglia della grotta chiedendo la ragione di tanto gaudio. Le risposero gli dei che gioivano della presenza di una dea più bella di lei. Amaterasu, inviperita, fece ancora qualche passo fuori dalla caverna, decisa a combattere la sconosciuta rivale, e lo specchio appeso all’albero riflettè la sua immagine. Allora, placata, uscì del tutto dalla grotta, ammirò le danze e la luce ritornò su quel mondo felice.
Questa danza chiamata Kagura (o Wazaoki) è all’origine della cosiddetta «saltazione» (vale a dire l’arte dei movimenti regolati, comprendenti la danza, la pantomima, l’azione teatrale od oratoria) del Giappone, e, come vedremo, all’estrema origine del Nou. Essa viene eseguita in certi giorni festivi, da attori mascherati e in abito di seta damascata, al suono del flauto e del tamburo, nei dintorni dei templi shintoisti; da essa derivano numerosi passi ed evoluzioni.
L’origine della danza Kagura risale ai tempi lontanissimi, assai probabilmente anteriori all’introduzione nel Giappone dell’idioma cinese, se è vero che il suo significato sarebbe «divertimento degli dei».
Sotto il nome di Kagura si comprendono spettacoli di specie diverse che vanno dalle danze religiose agli esercizi e destrezze dei giocolieri e alle farse più spinte, cosìcché possiamo dividere i Kagura in quattro tipi principali e precisamente:
- Sato-Kagura
- O-Kagura
- Mi-Kagura
- Dai-kagura
Esaminiamoli brevemente:
- I Sato Kagura, eseguiti nei giorni festivi davanti ai tempietti (o reliquari) shintoisti avevano per lo più indole propiziatoria (come accadde anche durante l’epidemia di colèra nel 1916) e venivano ordinati dai sacerdoti dei templi, che di solito ne sono anche gli esecutori musicali, a mezzo di flauti e tamburi. Consistono in pantomine eseguite in festosi costumi da attori che coprono il loro volto con maschere di legno.
- Gli O-Kagura vengono attuati soltanto davanti a speciali templi come ad esempio in quelli di Miyashima, Naza Kasuga, Nikkou, Ise, Atsuta ecc.; sono danze simboliche speciali senza caratteristiche pantomimiche, eseguite da danzatrici del tempio Miko, vestite di pantaloni rosa piuttosto lunghi e di un mantello bianco, con una corona o un piccolo diadema sui capelli che ricadono sulle spalle con una treccia legata da un nastro o da una fibbia. Le danzatrici (accompagnate, come nel caso precedente, da sacerdoti con tamburi e flauti) tengono in mano una specie di raganella ornata di minuscoli campanelli di bronzo dorato ed un ramoscello verde, più raramente ventagli e virgulti benedetti. Verso la metà del Settecento alle sacerdotesse furono sostituite delle ragazze dell’agiata borghesia, allo scopo di attirare una maggior quantità di pubblico ed accrescere i guadagni. La novità ebbe successo e le danzatrici note sotto l’appellativo di Hayazi Miko, apparvero anche in altri templi iniziando una tradizione che rimane valida fino al principio del XIX secolo. E’ da notare che il contenuto delle danze O-Kagura è quasi sempre mitologico. Di O-Kagura esistono due scuole diverse: quella di Ise e quella di Atsuta.
- I Mi-Kagura si rappresentano soltanto alla Corte Imperiale e al tempio di Ise. Vi prendono parte uomini e donne, le loro danze sono commentante da flauti e da un’arpa per opera di 25 musici i quali cantano da soli o in coro i testi dei canti che devono accompagnare. Insieme alle danze eseguite davanti ai reliquari del Palazzo Imperiale in onore dei regali antenati vengono presentate delle offerte alla dea Amaterasu – la cui leggenda, come si è visto, sta alle origini del Nou – ed altri mitici personaggi.Secondo quanto riferisce il Glaser (Japanisches Theater), la rappresentazione del Kagura (il cui teatro da un punto di vista architettonico ricorda assai da vicino quello che sarà il teatro del Nou) nel cerimoniale di Corte avrà luogo più tardi sotto l’imperatore Ichijou (987-1011).
- Al contrario dei tre precedenti, i Dai-Kagura sono costituiti da specie di Shishimai o «danze dei leoni», originarie delle provincie di Kii e Ise, (così chiamate perché venivano eseguite da attori che avevano il volto nascosto da una maschera raffigurante un leone dalla mascella mobile per rendere più evidente e terribile la somiglianza), da brani buffoneschi e da esibizioni acrobatiche.
Tratto dal libro Storia del Teatro Giapponese di Pietro Lorenzoni
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