Se lo shintou difficilmente potrebbe dirsi eminente per i suoi contenuti teologici, o per le sue precisazioni etiche, è viceversa religione ricchissima dal punto di vista rituale, liturgico e – in alcuni campi – artistico. Questa constatazione è del tutto consistente con la natura stessa dello shintou, religione tesa molto più a celebrare gli eventi di questa vita e di questo mondo, che a preparare i fedeli per un’esistenza ultraterrena.
Molti indizi fanno presupporre che, nello shintou più antico, i luoghi di culto si trovassero esclusivamente all’aperto. Quando si riteneva che un kami si manifestasse, o si fosse manifestato in un dato luogo, lo spazio intorno veniva purificato e delimitato da cordicelle di paglia (shimenawa), alle quali si potevano appendere offerte di stoffa ritagliata (allora materia pregiatissima), oggi sostituite da frammenti di carta ritagliata in modo caratteristico (heihaku).
Se si riteneva che il kami fosse disceso su di una pietra, una roccia, una rupe si poteva parlare di iwakura, se invece si trattava di un arbusto o un albero, si aveva uno himorogi. Ma i luoghi sacri potevano essere di generi molteplici, la natura era tutta viva di kami, quindi essi potevano includere torrenti, cascate, fiumi, bracci di mare, baie, scogli, intere montagne, vulcani, isole, foreste, alberi particolarmente annosi ed imponenti.
Questo orientamento generale è presente e vivissimo ancora oggi. Se è vero che esistono oramai dei sacrari urbani, interamente circondati da palazzoni d’acciaio e di vetro, il vero jinja è però di norma accompagnato almeno da quanto può restare di un sacro bosco, da alcuni alberi possibilmente secolari, oppure si affaccia sul mare, sulle pendici di una montagna, verso una cascata, insomma su qualche aspetto della natura che serva a sintonizzare lo spirito dei fedeli, o del semplice visitatore, con il mondo dei kami, ove il divino e la bellezza degli elementi hanno un loro punto focale di convergenza.
Ad un certo momento si cominciarono a costruire dei sacrari veri e propri, tra i quali quelli di Ise e di Izumo sono ritenuti tra i più antichi. Sembra che il modello architettonico di Ise ricordi gli antichi granai (in verità depositi per il riso ed altri beni preziosi, forse anche spade e simili), adattato a contenere il più santo di tutti gli oggetti del paese, lo specchio metallico della dea solare Amaterasu, disceso di generazione in generazione fino ai tennou, di cui costituisce ancora oggi uno dei tre simboli supremi d’autenticità regale.
Il sacrario di Izumo pare derivi invece da un antichissimo palazzo in legno il quale, se oggi è solo poco più alto di quello di Ise, in epoche passate (ancora nel secolo XI o XII) si elevava superbo su palafitte che facevano raggiungere all’edificio, secondo il professor Fukuyama, l’altezza cospicua di 48 metri.
Una particolarità riservata soltanto ai sacrari di Ise è data dalla presenza, sotto l’impiantito ligneo del sacello, di un pilastro sacerrimo e segreto chiamato shin-nomihashira (“mirabil-divina-colonna”), alto circa 170 cm, del diametro d’una ventina di centimetri, avvolto in vari strati di seta. Secondo alcuni rappresenterebbe l’originale himorogi del nume, prima che gli si costruisse un riparo, poi divenuto il vero sacrario.
Col tempo molti dei sacrari shintou, che oggi raggiungono il numero altissimo di circa 80.000, hanno finito per subire, in un particolare o nell’altro, ma specialmente nel disegno del tetto, varie influenze degli stili di costruzione dei templi buddhisti. Di norma si distinguono otto tipi fondamentali di sacrari: quello di Ise (stile shinmei – riserbato solo al celebre santuario), lo stile di Izumo, quello di Hachiman, gli stili di Sumiyoshi e di Otori (due sacrari nei pressi di Osaka), lo stile del sacrario di Kamo (a Kyoto), e quello del sacrario di Kasuga (a Nara), ed infine lo stile grandioso, barocco, dei mausolei di Nikkou (stile gongen).
In tutti gli stili (salvo quelli di Hachiman e di Kamo) il tetto è facile a distinguersi da quello dei templi buddhisti per la presenza dei chigi, prolungamenti reali o decorativi delle prime ed ultime travi del tetto, che danno un aspetto del tutto caratteristico all’insieme.
Tratto dal libro Storia delle Religioni – Cina- Estremo Oriente
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