Non è facile seguire l’evoluzione nel tempo dello shintou, religione priva di fondatore, dalle forme molteplici e contraddittorie, nelle quali confluiscono fenomeni di natura diversa, di origini geografiche, storiche, culturali indipendenti tra di loro. Quasi sempre lo shintou viene considerato una “religione originaria dei giapponesi”, un complesso cioè di idee, atteggiamenti, valori, pratiche di culto, formatosi e sviluppatosi esclusivamente nelle isole nipponiche, tesoro spirituale del tutto indigeno.
E’ vero che al di là di un certo punto (secoli V-VI d.C.) perdiamo contatto con i documenti scritti indigeni e stranieri, e quindi migriamo verso un albore preistorico nel quale possono formularsi soltanto delle supposizioni ma è pur vero che intorno al 300 d.C. ha luogo in Giappone una rivoluzione culturale della massima importanza, la quale ha inizio, a quanto rivelano le ricerche archeologiche, nel nord del Kyuushuu (la grande isola meridionale dell’arcipelago), e si espande gradualmente verso Est, verso le terre di Yamato al centro dell’arcipelago.
Si passa in altre parole dal mondo cosiddetto joumon (della ceramica a “corde impresse” sulla creta) a quello chiamato yayoi, caratterizzato da un altro tipo di ceramica assai diversa, scoperta per la prima volta in località Yayoi, un quartiere di Tokyo.
Il trapasso dal joumon allo yayoi che si realizzò a ritmi diversi e in momenti diversi a seconda delle religioni, segna fondamentalmente il passaggio da un’economia di raccoglitori-cacciatori-pescatori, ad una in cui venne a prevalere l’agricoltura dedita alla produzione del riso, inizialmente (si ritiene) a secco, ma ben presto in campi irrigui. Questo tipo di coltura, che richiede una tecnologia avanzata e complessa, sia dal lato delle conoscenze astronomiche (calendario), sia da quelle idrauliche, e che impone una collaborazione attiva a livello di più villaggi, permette rendimenti molto alti nei raccolti e quindi conduce ad un aumento rapido della popolazione, con tutte le conseguenze sociali che un simile fenomeno comporta. […]
Insieme alle nuove tecnologie (coltura del riso, ceramica di fattura superiore, uso dei metalli e via dicendo), è molto probabile che siano approdati in Giappone anche elementi importanti di vita spirituale e religiosa prevalenti già da lungo tempo sul continente. Infatti, tanto nello shintou isolano quanto nel taoismo continentale, fenomeni religiosi che si presentano già in epoca classica come diversissimi tra di loro, si nota qualcosa di fondamentalmente comune che potrebbe rimandare ad un antichissimo sostrato unitario, patrimonio atavico dell’Asia orientale.
Questa comunanza ci pare sia data da un consimile culto della natura. Sul continente, tra menti squisitamente portate all’elaborazione filosofica, questo culto sfociò nel grandioso contesto di tao (o dao), ancora significativo in molti casi per gli spiriti esigenti del XX ( o XXI) secolo; nell’arcipelago invece, tra genti dalla personalità più artistica ed intuitiva, invitò al mito, alla favola, all’allegoria. Da un lato, sul continente, fiorisce dunque il taoismo filosofico; dall’altro, nell’arcipelago, la mitologia dello shintou.
Lo stesso termine shintou vanta rispettabilissimi antenati continentali nella veste fonetica cinese shen-dao. Il termine risulta dall’accoppiamento di due ideogrammi, il primo che indica dio, nume, spirito (in cinese shen, in giapponese shin), e il secondo che incarna il concetto inizialmente semplicissimo di via, sentiero, strada, arricchendosi in seguito di sensi sempre più vasti e profondi, la Via seguita dalla natura nelle sue operazioni, quindi la Via come sinonimo dell’Assoluto, e che in cinese ha pronuncia Dao o Tao, in giapponese Dou o Tou.
Tratto dal libro Storia delle Religioni – Cina- Estremo Oriente
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