“Dietro di me, a Edo, lascio il mio pennello. In cammino per un nuovo viaggio, ammirerò tutte le celebri vedute del Paradiso d’occidente”.
In punto di morte, il sesto giorno del nono mese del 1858, Hiroshige compose questi versi, nei quali è racchiusa, in estrema sintesi, tutta la poetica della sua vita artistica.
Al tema del paesaggio, infatti, Hiroshige dedicò gran parte della sua carriera, pubblicando numerose composizioni di successo che ne decreteranno una fama imperitura, sia in Giappone, dove le stampe delle sue vedute furono vendute in migliaia di esemplari fin dalla loro prima edizione, sia in Europa, dove la sua vasta opera e il suo stile raffinato richiamarono l’attenzione di molti tra i protagonisti delle avanguardie artistiche dell’Ottocento: nel 1887 Vincent Van Gogh – nella cui collezione di stampe dell’Ukiyo-e (la celebre scuola pittorica giapponese delle “immagini del mondo fluttuante”) non mancavano numerose opere di Hiroshige – copiò con cura meticolosa, Acquazzone improvviso su Oukashi ad Atake e Il giardino di susini a Kameido, due composizioni della serie Cento vedute celebri di Edo (1857), mentre nel 1893 Pissarro si spinse ad affermare che “Hiroshige è un meraviglioso impressionista”.
Mary McNeil Fenollosa – moglie del più noto Ernest Fenollosa (1853-1908), uno dei primi specialisti occidentali di arte giapponese – diede alla sua monografia del 1901 il titolo di Hiroshige. The Artist of Mist, Snow and Rain.
Questa stringata definizione di “artista della foschia, della neve e della pioggia”, nonostante non renda merito alla grande versatilità di Hiroshige, può tuttavia essere ancora oggi utile quale punto di partenza nell’analisi della sua arte.
Prima di tutto, alcune delle composizioni più celebri del maestro – come, per esempio, Kanbara. Neve di sera, Shouno. Scroscio improvviso e Mishima. Nebbia mattutina, tutte appartenenti alla serie Tra le cinquantatre stazioni di posta del Toukaido – rappresentano paesaggi in cui è “fisicamente” presente – svolgendo un ruolo preponderante per l’intera ambientazione dell’opera – la neve, oppure la pioggia, o ancora la foschia.
Hiroshige fu maestro nella resa di questo genere di vedute in cui gli agenti atmosferici pervadono lo scenario, riuscendo – come nessun altro tra i protagonisti dell‘Ukiyo-e – a costruire immagini in cui si impone la mutevolezza delle stagioni in natura.
Inoltre, la definizione della McNeil Fenollosa – pure quando non la si intenda nel suo significato letterale, riesce a introdurre anche altri aspetti generali dell’arte di Hiroshige: più di tutto, il grande sentimento poetico che è la nota maggiormente caratterizzante dell’intera produzione di questo maestro giapponese, la sua inimitabile capacità di tratteggiare l’atmosfera di un luogo, di fermare quell’attimo, irripetibile, nel quale la natura manifesta tutta la propria essenza.
Come mise già in evidenza il poeta Yone Noguchi nel 1917, in occasione della commemorazione del sessantesimo anniversario della morte dell’artista, l’opera di Hiroshige si distingue anche per il suo essere profondamente “giapponese”, imbevuta cioè di uno spirito e di certi ideali estetici che si possono con facilità ricondurre alla più pura tradizione del paese del Sol Levante.
In quest’ottica si spiega, per esempio, l’abilità di Hiroshige nel rappresentare l’estrema variabilità dei ritmi naturali: l’artista riesce a penetrare, grazie al proprio punto di vista privilegiato, la realtà del mondo fenomenico, divenendone parte imprescindibile; un tutt’uno indivisibile nel quale montagne, sole, luna, cielo, nuvole, piante, mari, rocce, fiori ecc… condividono uno stesso spazio, un tempo comune, una medesima prospettiva.
Insieme all’artista, anche l’uomo e le sue costruzioni fanno parte, dunque, della natura così concepita, essendo essi costituiti dalla stessa sostanza, condividendone le origini e le trasformazioni: per questo i personaggi che abitano le creazioni paesaggistiche di Hiroshige non assumono una posizione rilevante all’interno della composizione, ne tanto meno costituiscono un mero elemento decorativo; semplicemente, essi si integrano perfettamente nello scenario.
Hiroshige interpreta così in maniera splendida gli insegnamenti tradizionali dello shintoismo, la dottrina religiosa autoctona del Giappone, secondo la quale l’uomo, gli elementi della natura e perfino le divinità sono manifestazioni di un unico principio che dividendosi si trasfonde nel tutto e nell’uno con analoga intensità.
Questo approccio filosofico alla vita costituisce da sempre il background culturale di ogni giapponese, al quale molti artisti hanno fatto riferimento per la realizzazione di alcuni tra i maggiori capolavori dell’arte classica nipponica. Tuttavia, proprio Hiroshige si può ascrivere il merito di aver diffuso, anche a livello popolare, una sintesi di questa tradizione, attraverso un linguaggio figurato che, sebbene sofisticato nei concetti, fosse alla portata di un vasto pubblico.
Tratto dal libro Hiroshige (Art Dossier – Giunti)
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