Dopo Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores, storia di un supereroe ragazzino con chiari richiami al mondo degli X-Men, è arrivato nelle sale italiane un altro film ispirato ai fumetti: Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, con chiari richiami stavolta all’universo dei manga e degli anime, soprattutto a quelli dell’epoca d’oro di fine anni Settanta.
I toni di questo “spaghetti superhero”, come è stato definito, richiamandosi agli spaghetti western, ma sarebbe meglio definirlo “spaghetti manga”, sono molto diversi da quelli de Il ragazzo invisibile, e sono decisamente adulti, crudi e disincantati.
Malgrado questo, anche qui c’è la scoperta dei propri poteri e delle grandi responsabilità che questo comporta, in una fiaba cruda e di borgata, quella di Enzo Ceccotti, ladruncolo senza obiettivi se non quello di ingozzarsi di yogurt e film pornografici, finché non cade nell’acqua del Tevere resa radioattiva da una misteriosa sostanza e ne esce invulnerabile.
La tentazione di usare questi nuovi poteri per il proprio tornaconto personale è fortissima e all’inizio Enzo fa così, ma l’incontro con Alessia, ragazza vittima di disagio psichico e ripetute violenze che si è rifiugiata nel mondo di Jeeg robot, e la minaccia su Roma dello Zingaro, giovane delinquente crudele e pazzo che ad un certo punto farà anche lui un tuffo nel Tevere, gli faranno fare altre scelte.
Enzo non è un eroe, ma lo diventa, in un mondo senza pietà, che gli ha portato via tutto, amici d’infanzia in testa, ma dove capirà che potrà forse provare a cambiare qualcosa: i toni sono politicamente scorretti, tra degrado, parolacce, scene crude, ma del resto i supereroi non possono e non devono essere patinati, e su questo c’è da dire che gli anime sono stati fin dall’inizio abbastanza di rottura.
Claudio Santamaria interpreta bene il quarantenne Enzo, ancora meno motivato di Hiroshi Shiba a difendere gli esseri umani dalle forze del male, mentre Ilenia Pastorelli è Alessia, più vicina alla tragica Flora che a Miwa, mentre Luca Marinelli è un cattivo che riecheggia il Joker di Ledger più che il temibile impero Yamatai. Gabriele Mainetti è un grande appassionato di manga e anime, e li omaggia senza nostalgia canaglia, costruendo una storia dove Jeeg è funzionale, compare ogni tanto sullo schermo come personaggio con cui evadere da una realtà intollerabile per Alessia ma su cui alla fine costruire una nuova identità e un progetto di vita per Enzo, eroe suo malgrado e poi per sempre.
Lo chiamavano Jeeg robot, film non per ragazzini ma che interessa chi è stato ragazzino qualche decennio fa, è una ventata di aria nuova nel cinema italiano, dove si importa il fantastico ma sono anni che non se ne produce di proprio, senza pacchianerie, raccontando una storia italiana ma con in più l’elemento fantastico e strizzando l’occhio ad un eroe icona di almeno una generazione.
Tra l’altro, c’è da ricordare una curiosità: Jeeg robot d’acciaio, in originale Koketsu Jeeg, fu amatissimo in Italia e anche in Spagna, dove è noto con il titolo di El vengador. In Giappone invece non ebbe grandissimo successo, come altri anime, tra cui Lady Oscar, divenne popolare nel corso degli anni, con l’effetto nostalgia. Lo stesso che gioca nel finale de Lo chiamavano Jeeg robot, con Claudio Santamaria che canta a modo suo la trascinante sigla, pezzo forte in tutti i concerti di cover di anime, a cominciare da quelli all’interno delle fiere dei fumetti.
Gli anime sono stati e sono un serbatoio di sogni e fantasie, che possono alla fine far cambiare realtà intollerabili o senza via d’uscita, anche solo per un attimo.
Articolo scritto da Elena Romanello per SakuraMagazine
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