Il mese scorso, è stato annunciato dai media che l’ex cantante dei Beatles, Paul McCartney, è stato costretto ad annullare il suo programma di concerti per problemi di salute; nel dare la notizia i media hanno usato più volte una parola alquanto particolare: Dotakyan. In realtà i vari organizzatori hanno annunciato la notizia usando questa frase:
全 公 演 中 止 が 決 ま っ た
Zen kōen chūshi ga kimatta
E’ stato deciso di annullare tutti gli spettacoli.
Tuttavia è su altri fonti media e blog su internet che è stata usata la parola ド タ キ ャ ン (dota-kyan), che l’autorevole dizionario “Kojien” definisce così:
「ど た 」 は 土 壇 場 、「 キ ャ ン 」 は キ ャ ン セ ル の 略 。 直 前 に な っ て 約 束 を 破 棄 す る 意 の 俗 語
“Dota” wa dotanba, “kyan” wa kyanseru no ryaku. Chokuzen ni natte yakusoku wo haki suru i no zokugo.Dota è l’abbreviazione di Dotanba mentre Kyan per Kyanseru (cancel) ed in gergo significa “rompere una promessa o l’accordo di un appuntamento appena prima del suo avvenimento”.
Originariamente un “dotanba” era una piattaforma inclinata posizionata di fronte ad una fossa poco profonda dove i criminali venivano giustiziati, pena capitale in uso sino all’inizio dell’era Meiji (1868-1912). Oggi i dotanba non sono più in uso ma la parola è rimasta nell’uso figurato per indicare qualcosa fatta “all’undicesima ora” o praticamente “all’ultimo minuto”. Per esempio:
土 壇 場 で 逃 げ る
Dotanba de nigeru
Fuga dell’ultimo minuto
L’origine della combinazione Dotakyan è incerta ma la parola era già popolare nei primi anni ’90. Un uso comune è quando ci si riferisce alla cancellazione improvvisa di un matrimonio: un’analogia divertente è infatti pensare allo sposo o alla sposa in preda al panico prima di giungere all’altare come se si andasse incontro ad un’esecuzione!
Anche se qualche giapponese non vede proprio di buon grado l’uso di costrutti “poco eleganti” come dotakyan, ormai si sta comunque permettendo la diffusione e l’ampio uso di nuove parole nate per “forza di mercato” e che sono diventati neologismi ormai facenti parte del parlato quotidiano.
Coloro che contribuiscono a introdurre nel parlato questi nuovi vocaboli possono essere sicuramente i copywriters pubblicitari, saggisti, personaggi televisivi: parole combinate e curiose nascono spesso dai 落 语 Rakugo (monologhi comici) e dai 漫 才 Manzai (i dialoghi comici). Ma ancora ci sono i commentatori, opinionisti in vari campi e settori e di sicuro anche gli adolescenti. Poi non si può dimenticare che computer, telefonini e il mondo di internet hanno raggiunto ogni parte e sicuramente ciò ha ispirato e contribuito ad arricchire un vero e proprio vocabolario con parole come: メ ー ル ア ド Mēru-ado (Meeru + Adoresu: Mail Address, Indirizzo Email), ツ イ る Tsuiru (per indicare il “twittare”).
Nel 1980, il compianto Herbert Passin, professore emerito alla Columbia University e autorità in materia di uso della lingua giapponese, aveva compilato e scritto alcune sue varie osservazioni e considerazioni sulla lingua giapponese, ora raccolte nel libro intitolato “Japanese and the Japanese“.
Passin aveva scritto che il processo di adozione di una parola straniera nella lingua giapponese comprende 6 particolari passaggi. Nella fase iniziale, vengono presi e inglobati termini stranieri che sono in realtà termini tecnici che non hanno controparte giapponese e che quindi vengono presi in toto e utilizzati “passivamente”. Nel secondo e terzo passaggio, le adozioni sono usate e camuffate in modo che non possono essere subito comprensibili dalla lingua originale del termine: un ottimo esempio potrebbe essere 背 広 Sebiro (abito da uomo in stile occidentale).
Viene scritto come se fosse un ate-ji (cioè una parola associata falsamente a dei kanji che in realtà ne rappresentano solo il suono fonetico e non il significato) e significa “wide-back” (spalle-schiena larga). In realtà il nome Sebiro pare abbia avuto origine da Saville Row, la strada di Londra famosa per la vendita di abiti maschili realizzati su misura da sarti. Un’altra teoria associa Sebiro come nato dalla storpiatura del significato “abiti civili”.
Nel quarto passaggio secondo Passin, le parole straniere vengono combinate alle parole giapponesi per creare nuovi composti. Tonkatsu ad esempio, usata per indicare la cotoletta di maiale, è una parola nata dalla combinazione sino-giapponese di Ton (maiale) e Katsuretsu (cutlet in inglese).
Nel quinto passaggio per Passin può succedere che i giapponesi abbiano poca, se non addirittura nessuna, consapevolezza del fatto che una determinata parola sia di origine straniera e ignari di ciò la considerano invece come se fosse nativa. Al sesto passaggio invece, la parola viene completamente integrata come parte della grammatica giapponese e quindi ne diviene vocabolo con funzione grammaticale a tutti gli effetti: nascono così verbi come ad esempio Saboru (che viene da una storpiatura del “sabotaggio” francese).
Ma Saboru non è il solo esempio: quando i concorrenti alla tv, nei vari spettacoli e giochi televisivi raggiungono il punteggio più alto e vincono un premio, è facile sentir dire al presentatore ゲ ッ ト す る Getto suru o semplicemente ゲ ッ ト Getto per indicare la parola “ottenere” che in inglese è “to get“.
Alcune parole inglesi, grazie alla loro somiglianza fonetica con le parole giapponesi, si inseriscono senza troppe difficoltà nel vocabolario nipponico. Prendiamo ad esempio la parola giapponese 色 っ ぽ い Iroppoi (Sexy) che viene ironicamente cambiato in un gioco di parola per Eroppoi エ ロ っ ぽ い (e indicare Erotica), sostituendo semplicemente la I con la E e mantenendo -ppoi come desinenza aggettivale.
Un altro esempio potrebbe essere ダ ブ る Dabu-ru (doppione, superfluo, in più) che viene adottato prendendolo dall’inglese “double” (doppio). Poichè però il finale in -ru corrisponde in giapponese a molti verbi, “daburu” viene spesso coniugato in forme come “dabutteru” (tempo progressivo) o “dabutta“ (passato) e considerato quindi come verbo vero e proprio.
Passin fu un grande studioso, il suo rapporto con il Giappone è durato 60 anni, sino alla sua morte nel 2003, e i suoi studi hanno sempre riguardato il giapponese considerandolo come una delle lingue più ricettive nell’assimilare parole straniere da altri idiomi. Egli stesso spesso si meravigliava di come il giapponese fosse in grado di assorbire le parole inglesi in un modo incredibilmente creativo.
Articolo scritto da Mark Schreiber per il Japan Times
Traduzione: Sakura Miko
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