Gli uomini attingevano di che vivere dalla natura. Si suppone che nei tempi più antichi la popolazione, poco numerosa, praticasse la caccia avvalendosi di buche (otoshi ana shuryou), mentrechè a cominciare dalle epoche anteriore e di mezzo la crescita demografica già sensibile permettesse l’attuazione di grandi cacce (makigari).
Le armi erano essenzialmente l’arco e le frecce. L’arco più antico che si sia finora rinvenuto risale all’epoca anteriore: proviene dal sito di Kamo (Chiba-ken), ove apparvero nello stesso tempo frammenti di ceramica che resero possibile la datazione. Si tratta di un arco di legno di dimensioni relativamente piccole (è lungo 33 cm), di cui si conserva solo metà. A sezione rotonda e molto solido, è provvisto all’estremità di un dente a cui si attaccava la corda. È un reperto estremamente raro: bisogna attendere l’epoca finale per trovarne un altro esempio a Korekawa (Aomori-ken).
Le punte di freccia compaiono col Joumon, e da allora si incontrano molto frequentemente. Hanno varie forme: triangolari o a forma di zappa e, in seguito, peduncolate, semplici o a forma di foglia di salice. A seconda dei luoghi e dei materiali offerti dalla natura, erano tagliate nelle rocce più diverse: nell’ossidiana nell’Hokkaido e a Kyuushuu, nello schisto nel Giappone di Nord-Est, nell’andesite nel Kinki e in tutta la regione del Mar Interno.
Ma esistono anche punte di freccia di osso o di bambù. Numerosissime in tutti i siti joumon, le punte di freccia sono tuttavia di scarso aiuto per stabilire una cronologia, poiché la tecnica con cui erano lavorate varia a seconda del tipo di caccia praticato e delle difficoltà che v’incontravano gli uomini. La tecnica muta anche a seconda della qualità della materia prima, tanto che l’evoluzione delle punte di freccia non corrisponde sempre a quella della ceramica trovata nello stesso sito e nello stesso strato.
La caccia con l’arco sembra abbia rapidamente eclissato i vecchi sistemi di andare a caccia con le zagaglie ereditati dalle età che precedettero la ceramica. Ad ogni modo, essi scomparvero molto in fretta dal Giappone occidentale, e anche nell’Hokkaido e nel Nord-Est vennero abbandonati fin dall’epoca di mezzo. La selvaggina era costituita da mammiferi – cinghiali, cervi, tassi, volpi, scimmie – e da uccelli – albratros, anatre selvatiche, fagiani. La presenza molto frequente negli scarichi di ossa di cane fa pensare che questo animale fosse un aiuto prezioso del cacciatore joumon.
La pesca forniva l’altro elemento essenziale del nutrimento. L’epoca joumon ne conobbe tre tipi: con la lenza, provvista di amo, dall’inizio del periodo; con l’arpione a cominciare dall’epoca di mezzo; e infine con la rete. Fatto di pietra o tagliato nel corno di cervo, di cui si utilizzava la curvatura, l’amo rimase a lungo molto semplice, diventando progressivamente più complicato quando cominciarono a comparire arpioni seghettati sempre più complessi e robusti e arpioni dalla testa mobile.
Sembra che la pesca con la rete sia stata pratica dall’epoca anteriore, come è provato dalle tracce di rete osservate su alcune ceramiche di quel tempo. La rete era appesantita da pesi di pietra e di terracotta, forma evoluta di ciò che all’inizio erano semplici cocci tenuti insieme da un laccio. Una serie di esche completava l’equipaggiamento del pescatore. Il pesce era abbondante e vario: orate, tonni, spigole, cefali, sgombri, delfini, balene, foche, giusto per ricordare i più comuni. I frutti di mare completavano gustosamente la normale dieta dell’uomo del Joumon.
Fonte: Estratto tratto dal libro Archaelogia Mundi – Enciclopedia Archeologica – Giappone (Nagel)*** Se trovi gli articoli, le traduzioni e le recensioni di questo sito utili, per favore sostienilo con una donazione. Grazie! ***